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Com'è nato I discendenti degli Eterei.

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Come sintetizzare nove anni in poche righe? Tanto è stato necessario per iniziare e finire questo libro. Naturalmente non ho scritto con costanza. Inizialmente era un gioco, poi condiviso con mio fratello. 

Correva l'anno 2010, mi sa... o era il 2009, sì. Era il 2009 quando ho iniziato a buttare giù le prime idee a mano sul mio quaderno degli schizzi ma, in effetti, di quello che ho scritto in quell'anno rimane ben poco, a parte, forse, la scintilla originale: l'idea degli Eterei.

Quella mi è venuta rientrando da una mia mostra in Germania, verso l'Italia. Era il tramonto su una delle grandi Aautobahn tedesche; il cielo era terso, solcato da una nube densa, riempita di colori materici, che sembrava quasi un dipinto di Turner. Ricordo di aver pensato: e se esistesse una popolazione che vive lassù? Così durante il viaggio mi sono messo a pensare a come fossero fatti gli Eterei.

Kaila è nata poco dopo, non saprei dire quando, ma di lei c'è traccia già sui taccuini scritti a mano.

Poi personaggi e mitologie si sono arricchite di stratificazioni di esperienze e studi, sia miei che di mio fratello. Da un certo punto di vista, un libro somiglia a una di quelle pareti rocciose nelle quali gli strati di roccia si piegano e si abbracciano, si intersecano e si torcono gli uni sugli altri. 

 

Ho, poi, proposto a Francesco di partecipare alla creazione del libro. Anche lui aveva qualche idea per una storia fantasy, così abbiamo unito le forze. Scrivere un libro non significa necessariamente crearlo. Con Francesco abbiamo curato l'aspetto creativo: l'invenzione dei personaggi e delle scene, gli argomenti da trattare. 

In solitaria, invece, mi sono occupato della scrittura perché,  negli anni lo scrivere è diventato per me un bisogno. Uno strumento di meditazione e riflessione. Entro nel libro come si sale a bordo di un'astronave e, proprio come se stessi compiendo un viaggio, ho un'azione sia attiva che passiva. Contemplo passivamente un paesaggio di galassie dentro il quale mi muovo volontariamente. Mi spingo dentro me stesso, certamente, ma in contrade sconosciute, che trovano radice fra inconscio e subconscio. 

La sensazione è che il libro si scriva da solo; che io non sia altro che un relatore di qualcosa di cui sono testimone.

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Filippo Canesi

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